Intervista con Giorgia Garberoglio: Storie e Scrittura

Il mondo dei libri è immenso, vario e pieno di sfaccettature che noi cerchiamo di portare alla luce attraverso i protagonisti del settore. Abbiamo già ascoltato la voce diretta di editori ed editor cercando di capire in cosa consiste il loro lavoro, quali sono le difficoltà che incontrano e come si svolgono le loro giornate tipo.
Oggi scopriamo come lavora uno scrittore, anzi, una scrittrice che nel tempo si è cimentata sia nella manualistica che nella narrativa: Giorgia Garberoglio, giornalista e scrittrice per Feltrinelli, Affiori e RED Edizioni.

Ringraziamo di cuore Giorgia per questa lunga intervista nella quale si è messa a nudo raccontandoci un po’ cosa vuol dire per lei essere una scrittrice, qual è stato il suo percorso e la sua esperienza in questo mondo. Ma non perdiamo altro tempo e cominciamo subito con la prima domanda:

  1. Ciao Giorgia, il tuo percorso con le parole è iniziato che eri ancora una ragazzina quando hai cominciato a collaborare con La Stampa e non avevi ancora diciotto anni. Come prima cosa non possiamo che chiederti che rapporto hai con i libri e com’è nato.

Effettivamente a sedici anni ho partecipato al concorso Città di Torino e ho vinto un premio speciale con un racconto; questo mi ha permesso di essere inserita in quello che all’epoca era chiamato L’osservatorio giovanile attraverso il quale ho potuto poi vincere un corso di scrittura teatrale con Guido Davico Bonino. Parallelamente stavano cercando anche dei ragazzi per la redazione giovanile de La Stampa attraverso il Premio Grinzani Cavour. Io ero una studentessa dell’Istituto classico D’Azeglio di Torino e il mio preside mi ha segnalato. Così è cominciato il mio percorso. Avevo diciassette anni.

Mi è sempre piaciuto scrivere, fin da bambina. A otto anni avevo già scritto un libro di almeno dieci pagine battute a macchina con l’Olivetti! Scrivere è una delle cose che mi viene più naturale fare, è una passione che è diventata un mestiere.

  1. Ogni autore ha un suo modo di scrivere: c’è chi non lascia la tastiera fino a quando la storia non è finita, chi scrive una pagina a settimana, chi non si avvicina al pc se non ha una linea narrativa chiara e chi si siede e comincia a digitare lasciando che le cose accadano. Tu che tipo di scrittrice sei? Meticolosa e rigorosa o più libera?

La mia scrittura creativa, che è ovviamente molto diversa da quella giornalistica (quella sì che è un mestiere in senso più stretto), inizia con l’idea del racconto: capita un avvenimento o un qualcosa di particolare, o anche solo un luogo che creano piano piano la costruzione del romanzo. Si tratta di un passaggio molto lento.
Impiego molto tempo a costruire la storia, anche perché, solitamente, non ne ho mai solo una nella testa ma almeno due o tre. È come se, piano piano attraverso le esperienze di vita, io riempissi i tasselli di un mosaico o di un altro o di un altro ancora. Quando mi accorgo che un mosaico in particolare comincia a prendere più forma degli altri attraverso gli input che ho ricevuto dall’esterno (immagini, parole, personaggi, idee), allora mi concentro un po’ di più sulla costruzione della mia storia. Ma sempre in maniera molto lenta e senza scrivere niente. In questa fase rimane tutto nella mia testa.

Quando poi piano piano mi rendo conto che la storia si sta costruendo – parliamo di almeno un anno, o anche due perché faccio tanto cose, ho figli, un lavoro, eccetera, quindi parliamo di un regime non fisso, direi saltuario e saltellante – inizio ad avere sempre più presenti i miei personaggi che non sono mai tantissimi, i posti e quella che deve essere la vicenda, ma sempre in una forma di scaletta mentale.
A un certo punto poi ritengo che la storia sia finita e solo allora inizio a scriverla. Se decido che si tratta di una storia che vale la pena di essere scritta allora mi organizzo con una scaletta – che poi non seguo quasi mai – perché essendo dislessica e discalcula ho bisogno di organizzare i miei racconti in una forma che può essere anche proprio geometrica. Per esempio, la mia scaletta di Amalia era formata da un colloquio tra due persone e io lo immaginavo come un cerchio che si chiudeva continuamente tra questi personaggi. Invece Il fiume va via taciturno l’avevo costruito come se fosse un disegno con due triangoli che coincidevano con le punte: questo perché aveva una partenza molto ampia, poi si sarebbe ristretto per allargarsi ancora. Non so, per me le immagini sono molto importanti. Ora sto pensando a una storia che è come una linea continua. Penso di poter dire che ho necessità di immaginare la scaletta più che scriverla. Nel momento in cui decido di scrivere allora mi prendo una settimana o quindici giorni di scrittura. Non che sia facile considerando la famiglia e il lavoro!
Questo è il momento nel quale mi accorgo se la storia fila perché di solito mi programmo il tempo per la scrittura ma non quello che scrivo. Lascio che sia il flusso della storia a prendere il sopravvento; è così che è accaduto con Amalia, una storia che ho scritto in circa in una settimana. Me lo posso permettere perché si tratta di una scrittura breve, un po’ anche per via del mio lavoro di giornalista nel quale lo spazio che ti viene concesso è sempre molto poco e quindi sono abituata a raccontare di tutto in poche righe. Trovo più difficile il contrario, cioè allungare la storia. Di solito mi attesto sulle cento pagine o poco più.

Giorgia Garberoglio

Quando poi arrivo al momento di scrivere davvero allora cerco di avere una routine nel senso che a quel punto ho in mente quante pagine voglio scrivere e cerco più o meno di spezzettarmele anche se finisce che non rispetto quasi mai la mia scaletta. Penso di avere un animo poco incline alle costrizioni. Quando facevo il liceo una delle mie professoresse mi chiamava “genio e sregolatezza”. Parto bene e poi predomina l’aspetto artistico e fantasioso e lascio che la storia venga da sé.

Avendo da sempre una certa dimestichezza con il testo scritto – per passione e per mestiere – devo dire che quasi mai vengono fatti dei cambiamenti ai miei manoscritti. Di solito la mia prima edizione è quella che poi viene confermata in fase di editing. Ho una scrittura sicuramente veloce (nel giornalismo hai circa un’ora, un’ora e mezza di tempo per la consegna del pezzo), questa capacità di finalizzare subito la scrittura in una forma corretta e “autoreggente” è un gran vantaggio. Mi aiuta anche il fatto di scrivere in una forma molto semplice come linguaggio, direi giornalistico, immediato.

Se c’è una cosa nella quale mi perdo tantissimo è la scaletta temporale. I numeri mi mettono sempre in crisi e quella è la parte che devo sempre rivedere e trattare con più cautela.

  1. Veniamo a qualcosa di più pratico e parliamo del tuo primo romanzo pubblicato nel 2016 con Feltrinelli, Amalia, la storia di una donna forte e con qualche segreto. Il romanzo ha vinto il concorso YpsilonTellers ed è stato molto elogiato dalla critica, ma noi vorremmo fare un passo indietro e tornare all’inizio, a quando Amalia era ancora solo un’idea: com’è nata la storia di questo romanzo e com’è stato scriverlo?

Amalia non lo ritengo tanto il mio primo libro: ne scrissi uno attorno ai vent’anni che mi piaceva moltissimo, lo feci leggere anche al direttore de La Stampa, agli amici e ai colleghi. Piaceva abbastanza ma poi, presa dagli impegni, non l’ho portato avanti, anzi me lo sono proprio persa e ora non me lo ricordo nemmeno più!
Il mio primo contatto vero con l’editoria è stato un libro rivolto ai genitori dei bambini allergici, che ho presentato con un professore del Bambin Gesù.

Per vicende personali mi sono poi allontanata dalla scrittura artistica per tanti anni… anni nei quali mi sono trasferita a Roma, ma ho sempre tenuto il ricordo del paese nel quale oggi ho un bar ristorante. Ho sempre avuto una vita abbastanza gironzolona, e questo luogo l’ho considerato da sempre un po’ come il mio punto fermo (anche se non era la mia città natale, ossia Torino). Io lo chiamo il mio “centro di gravità permanente”.
In questo paese si diceva che ci fosse stata Eleonora Duse e la storia di Amalia nasce un po’ come tributo a questo ricordo del quale, in realtà, non ci sono testimonianze dirette. Volevo raccontare del primo amore, del rapporto con i nonni e così è nata Amalia, nel quale c’è molto di Roma e molto di Ala di Stura.

  1. Amalia è concluso. Hai finalmente scritto la parola fine al tuo romanzo e ora si tratta di decidere a chi affidarlo: noi sappiamo come finisce questo dilemma, ma all’epoca immagino che non fosse per niente tutto così semplice. Prima di tutto, hai mai pensato di autopubblicarti con le piattaforme online? E in futuro il selfpublishing è una cosa che prenderesti in considerazione?

Ho scritto Amalia in una settimana e, alla fine, è rimasta praticamente tale rispetto alla prima stesura. L’ho fatta leggere solo a quelli che per me sono “i miei lettori”, ossia un gruppo di amici molto diversi, lettori con tanti interessi differenti. È un’abitudine che ho sempre mantenuto. Tra loro c’è anche un mio carissimo amico, Lorenzo Vintavoli, al quale ho poi anche dedicato il libro per il suo aiuto fondamentale. Lui oggi è un signore di quasi novantatré anni con una cultura sconfinata sul cinema e al quale devo la nascita di tantissime storie. Il libro che lo racconta un po’ di più (e anche quello che preferisco) è Il fiume va via taciturno.

Il fiume va via taciturno

All’epoca l’autopubblicazione era proprio agli esordi e non c’ho mai nemmeno pensato; questo anche perché ho sempre voluto scegliere dove scrivere. Quando ho iniziato a scrivere avevo chiaro che volevo arrivare a La Stampa anche se poi ho fatto anche altre esperienze.

Penso che il mondo non abbia bisogno delle mie storie e delle mie parole, però se queste devono uscire voglio che siano in determinate realtà che mi assomigliano, o che mi piacciano. Quando ho finito Amalia avevo l’idea di tenerlo per me com’è capitato per tante altre storie. Poi però mi è arrivata una mail con il Premio della YpsilonTeller (la conservo ancora). Avevo già avuto un’agente letterario con il precedente libro, ma non si occupava di narrativa, così mi ha consigliato un altro agente. Si trattava di un concorso quasi anonimo e alla fine mi sono buttata da sola pensando che se il libro aveva della qualità sarebbe emersa. È andata così. Il libro vinse e io ho mantenuto un bellissimo rapporto con quasi tutti gli altri concorrenti, abbiamo ancora una chat dove ci scriviamo e scambiamo informazioni – a volte desolanti – sul mondo dell’editoria. Il libro venne pubblicato e distribuito nei soli negozi Feltrinelli, il problema è che piacque moltissimo e alla fine è stato ristampato nella collana I narratori.

Giorgia Garberoglio nel suo ristorante

È stata un’emozione fortissima anche perché è sempre stato uno dei miei editori preferiti, lo adoravo al Salone del Libro – insieme a Einaudi e Sellerio – ma Feltrinelli pubblicava Isabel Allende che sono stati i miei libri preferiti da ragazzina. Essere in Feltrinelli era un grande sogno. Amalia è uscita dal catalogo quest’anno. Mi spiace, perché i libri sono storie d’amore e quando finiscono dispiace sempre un po’, ma è rimasto in collana per sette anni, quindi posso dire che sia stata una storia d’amore vissuta.

Non penso di autopubblicarmi perché mi piace avere un progetto alle spalle. Faccio già autopubblicazione tutti i giorni sui social, ma non so se riuscirei ad applicarla a un romanzo. Mi piace il senso di appartenenza. Non mi sento di dare consigli in questo senso, però, l’editoria è un mondo complesso e in costante evoluzione.

  1. Purtroppo il mondo editoriale è pieno di ostacoli per gli emergenti che a volte non sanno come muoversi e finiscono col fidarsi di Case Editrici poco serie o poco trasparenti. Dal tuo punto di vista quali sono le cose che un emergente dovrebbe considerare prima di affidarsi a una CE?

Sugli editori poco seri… penso che sia cura di ognuno di noi, nel momento in cui pensa di affidare il proprio lavoro ad altri, fare attenzione a quello che sta firmando. Io non ho mai avuto l’urgenza di pubblicare un mio romanzo, la vita mi ha portato a farlo. Sono prima di tutto una lettrice e sono anche molto puntigliosa su quello che scrivo, mi piace che sia il più possibile “perfetto”.

Penso che scrivere sia un mestiere che permette di acquisire competenze. Non sono in grado di dare consigli in questo senso, anzi, sono di quelle persone che preferiscono riceverne.
Posso parlarvi di una bella storia della quale è stato protagonista il mio Il fiume va via taciturno edito con Affiori, un progetto culturale creato da Giulio Perrone e Alessio Di Martino nel quale si cercava di promuovere gli autori italiani senza passare per gli agenti. Hanno letto davvero tantissimi manoscritti e ne sono usciti dei libro molto belli. Il problema è che non è tanto sostenibile economicamente.

Le case editrici pubblicano sempre gli stessi autori, la promozione è lasciata spesso in mano agli scrittori stessi e temo che a dispetto dei numeri del Salone di Torino si legga sempre meno. Quindi questo progetto so che adesso si sta prendendo un momento di pausa. Mi spiace perché ho letto romanzi davvero di alto livello di perfetti emergenti.
Io sono stata messa un po’ come capovoga di questo progetto perché sono già un pelino più nota, però adesso il progetto è in pausa.
Mi è capitato di mandare Il fiume anche a editori che non hanno neanche risposto, anche quelli che secondo me erano perfettamente in linea con la storia, una storia ambientata nel Bataclan, un po’ tosta ma molto profonda.

  1. Torniamo ancora alla tua esperienza con Amalia perché poche cose riempiono il cuore di un emergente come firmare un contratto con una CE di fiducia… ma è qui che inizia il percorso nell’ignoto: cosa avviene, materialmente, dopo aver firmato un contratto con una CE? E come hai vissuto questo momento di “gestazione” fatto di editing, grafiche e correzione di bozze?

Con Feltrinelli ho avuto un’esperienza bellissima che auguro a qualunque autore come prima esperienza; intanto ho avuto un editing molto delicato, sapiente, intelligente, non tante cose, ma piuttosto nella costruzione della narrazione ho avuto alcune indicazioni che effettivamente io non riuscivo a vedere – l’autore dopo un po’ non riesce a vedere certe cose, c’è troppo coinvolgimento – piccolissimi rovesciamenti a livello di capitoli, limature temporali (che sono il mio problema… ti dico solo che pensavano mancasse un capitolo perché li avevo numerati in maniera sbagliata). L’editing è durato una quindicina di giorni tra scambi di messaggi eccetera, un’esperienza di vita meravigliosa.

Amalia, Giorgia Garberoglio


Mi è stata cambiata solo una parola che io avrei tenuto perché all’epoca sentivo mia, ma mi accorgo che era proprio una cosa da novellina.
Se dovessi fare oggi l’editing di Amalia lo riscriverei in maniera completamente diversa!
Non voglio però sminuire quella che è stata una bellissima emozione: io di base sono abbastanza timida anche se nessuno ci vuole credere, nemmeno la mia migliore amica che mi conosce dal liceo, e quindi essere letta, pensare che qualcuno sta lavorando sul mio testo, che qualcuno si emoziona sui miei scritti o comunque entra nei miei personaggi, lo trovo un privilegio.

  1. Noi abbiamo parlato di Amalia come del tuo primo libro, in realtà la tua prima pubblicazione è stata Bambini allergici (Red, 2013), scritto a quattro mani con Giovanni Cavagni e ricco di testimonianze su questa realtà sempre più impattante. Scrivere un libro a quattro mani pensi sia stato più facile oppure più complicato?

Questo è stato un lavoro completamente diverso. Con il professor Cavagni sono ancora molto amica, lui seguiva il mio bambino che era un bambino con allergie molto gravi e pur dandoci del lei avevamo una certa confidenza, per cui io ero partita con alcuni suoi scritti: all’inizio pensavo di realizzare il libro come un vocabolario – io ho la passione per i vocabolari, qualunque mi capiti in mano lo devo leggere dalla A alla Z, quando mi chiedono quale sia il mio libro preferito rispondo sempre che è il Dizionario di Italiano Ragionato che conosco a memoria e quando sono in crisi me lo apro a caso e me lo leggo… non sono normalissima evidentemente – il professore mi mandava le bozze, io le riscrivevo e lui poi le rivedeva. Ero molto competente nella materia per via di mio figlio (e vengo da una famiglia di soli medici), poi avevo lui, quindi realizzarlo non è stato difficile, il mio solo obiettivo era che fosse chiaro a tutti e il fatto di avere una famiglia di medici mi ha aiutato molto a togliere un po’ la difficoltà di comprensione tra medico e paziente. Abbiamo ottenuto un testo che non rinuncia al tecnicismo pur essendo comprensibile.

  1. Nel 2023 è uscito Il fiume va via taciturno pubblicato con Affiori; in questo romanzo racconti un mondo a te caro, quello del canottaggio: quanto è importante per uno scrittore amare e conoscere ciò che scrive?

Sicuramente bisogna conoscere e io ho un’abitudine mentale alla preparazione in qualunque campo mi cimento; per esempio adesso nel settore della ristorazione penso di aver letto tutto lo scibile, ci occupiamo anche di vini e sto leggendo tutto quello che esce nel mondo su questo argomento.

Bambini allergici

Se possibile vado nei posti fisici perché giornalisticamente esserci fisicamente e parlare con le persone ti dà quel valore aggiunto. Bisogna viverlo.

Grazie al cielo non ho vissuto l’esperienza del Bataclan, ma ho due cugine che abitano a Parigi e quelli sono stati giorni emotivamente di grande sospensione per tutti noi. È stata una frattura che mi è rimasta e ha lasciato un tassello di quel famoso mosaico che dicevamo prima. Poi ho aggiunto un altro tassello insieme a Lorenzo Vintavoli che davanti al fiume mi disse che effettivamente Parigi aveva già vissuto una guerra civile nelle sue strade dove si sparava e che il Bataclan era un deja vu. Da qui è nata l’idea del parallelismo tra la storia passata della Seconda guerra mondiale e, invece, la storia attuale. Mi sono chiesta: ma se uno vivesse due volte nella propria vita l’esperienza di un attentato? Potrebbe essere un libro?

Così ho iniziato a costruirlo ma mi sentivo sempre un passo indietro perché sono pur sempre una giornalista e nel giornalismo la descrizione deve corrispondere al vero: creare una finzione su un fatto così brutto mi spiaceva, ma era una storia che andava avanti… seguiva il fiume e i fiumi sono la linfa vitale delle città. Piano piano la storia andava avanti e io le sono emotivamente molto legata perché per me è stato difficile scriverla (non in senso letterale… anche quella l’ho scritta in dieci giorni), ma voleva essere un omaggio delicato e un ricordo che veramente sostenesse quello che era accaduto nella realtà.

Quando l’ho presentato a Parigi con una mia collega che quell’esperienza l’aveva vissuta davvero, le ho chiesto se in qualche modo risultasse stonato e lei mi ha detto che leggendolo si pensava che fossi stata presente all’attentato. Sono riuscita a prendermi cura di tutto, alla fine.

  1. Riassumiamo: 2013 Bambini allergici con Red, 2016 Amalia con Feltrinelli e 2013 Il fiume va via taciturno con Affiori. Hai trovato affinità nel modo di lavorare di queste tre diverse realtà editoriali oppure trovi che abbiano tutte un approccio simile? In altre parole: c’è un solo modo di fare editoria?

Io devo dire che non posso considerare il mestiere di scrivere come un lavoro (più spesso è un investimento di tempo per esempio nelle presentazioni), anche perché spesso un libro non è sufficiente soprattutto se si parla di piccolo autori. La capacità di raccontare il libro e sé stessi è molto importante: io ho questo ristorante in una località montana ma molto poco alla moda che nel tempo si è un po’ persa rispetto a quelle che hanno possibilità di vivere la stagione invernale, e devo combattere e convincere le persone a venire da me. Lo faccio raccontando la mia storia, le mie fatiche, mettendomi un po’ a nudo. La stessa cosa con i libri, ti metti un po’ a nudo anche se non si tratta di libri autobiografici.
Le esperienze che ho avuto con le tre case editrici con cui ho collaborato mi hanno permesso di incontrare persone che sono state interlocutrici sempre straordinarie. Questo fa il bilancio di quello che sono stati i miei libri che a breve non saranno più in libreria (Amalia è fuori catalogo, Il fiume va via taciturno farà l’ultima edizione e Bambini allergici si trova in poche copie).

Mi dispiace perché molti lettori ancora mi chiedono delle mie storie: mi è capitato di dover rifiutare una presentazione molto importante a Roma su Amalia perché il libro non è più disponibile; me l’aveva proposta una persona che l’aveva letto e amato molto anche dopo molti anni dalla prima edizione. La cosa bella dei libri è proprio questa: tu lo crei, lo scrivi, lo pubblichi, lo promuovi, ma poi è il libro stesso che inizia a raccontare una storia e se quella storia è valida sono poi i lettori a continuare a raccontarla.

L’esperienza con tre editori è stata molto interessante, così come i tre tipi di lettori. Un privilegio. Nella parte promozionale sono stata sempre molto autonoma; ho avuto la fortuna di vivere una vita di grandi trasferimenti e grandi viaggi che mi hanno permesso di costruirmi delle relazioni, delle amicizie che poi mi hanno permesso di raccontare i miei libri in giro per l’Italia e non solo.
Anche librai e bibliotecari sono stati fondamentali per l’esperienza.

Giorgia Garberoglio

Quella con Affiori è stata un’esperienza un po’ diversa perché era disponibile solo nelle librerie indipendenti e quindi era un po’ meno raggiungibile rispetto ad Amalia. Questo per dire che anche la distribuzione fa un po’ la differenza del successo di un libro, ma io scrivo principalmente perché ho delle storie che devo scrivere. A volte mi rendo conto che queste storie possono corrispondere all’interesse di altre persone e in questo caso ci penso e vedo un po’ se possono diventare un libro.

  1. Non possiamo lasciarti andare senza farti un’ultima domanda: sappiamo che sei una donna che non dorme mai, impegnata tra la vita in famiglia, un ristorante da gestire, le collaborazioni editoriali ma… stai scrivendo qualcosa che potremo trovare presto in libreria?

Ho una storia che mi piace, devo capire cosa voglio farne. Sono molto lenta nelle mie decisioni quindi direi che per il momento è in sospeso, devo riguardarmela per capire se è sufficientemente matura e all’altezza.


Scopri di più da La Parola Giusta

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

6 pensieri riguardo “Intervista con Giorgia Garberoglio: Storie e Scrittura

Scrivi una risposta a Bruna Balzani Cancella risposta

Scopri di più da La Parola Giusta

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere