Parole intraducibili: un viaggio tra lingue e significati

A volte capita di voler esprimere un concetto ma di non saperlo riassumere in un solo termine; la soluzione è un circonvoluzione di parole che arrivi a centrare il bersaglio anche se con un percorso più ampio.
Ma c’è una soluzione diversa messa a nostra disposizione dalla globalizzazione e dallo scambio tra le comunità, si tratta delle parole intraducibili.

Cosa sono le “parole intraducibili”?

Sono parole appartenenti a una lingua diversa dalla propria che riescono a esprimere quello che in altre lingue non può essere espresso se non con una circonvoluzione.

Tempo da finestra

Qualche esempio? In islandese esiste un termine per indicare le belle giornate invernali che sono così fredde che non è possibile uscire a passeggiare (gluggaveður che è traducibile come “tempo da finestra”), e in Giappone c’è un termine (tsundoku) che indica la passione compulsiva con la quale si acquistano libri senza mai leggerli.
Sì, le parole intraducibili spaziano davvero in molti ambiti permettendo di indicare precisamente un certo tipo di persona, una condizione transitoria, un’abitudine o anche solo una sensazione.

Le parole intraducibili e l’ambiente

Il mondo naturale da sempre costringe gli esseri viventi a interagire con esso e, nel corso dei secoli, quelle piccole situazioni quotidiane che tutti noi conosciamo sono diventate termini molto precisi per altre lingue.

Komorebi

Avete presente quell’odore caratteristico che sprigiona la terra arida quando inizia la pioggia? Per gli inglesi ha un nome, petrichor, mentre i giapponesi usano il termine komorebi per indicare l’effetto delle luce del sole che fa capolino tra le foglie degli alberi.
Gli islandesi sono abituati a un clima molto volubile e in questo caso si può pensare di fare happípolla, ossia saltare nelle pozzanghere, mentre nella soleggiata Africa l’etnia Bantu usa hanyauku che significa camminare in punta di piedi sulla sabbia che scotta.
Ma la natura suggerisce anche termini più romantici come yakamoz che in turco indica il riflesso della luna sull’acqua, oppure gufra che è l’unità di misura che usano gli arabi per indicare la quantità d’acqua che può contenere una mano.
C’è un’altra parola, di origine tedesco, che si riferisce all’ambiente, in particolare a quello antropico: shilderwald che indica letteralmente “una selva di cartelli stradali” ossia una moltitudine di indicazioni che alla fine non sono chiare. Avete mai provato questa sensazione, magari mentre con una cartina in mano cercavate un posto preciso in una città sconosciuta.

Le parole intraducibili e le emozioni

Il sentire di una persona è un universo molto intimo, ma ci sono stati d’animo nei quali tutti ci possiamo riconoscere pur con lievi sfumature: tristezza, gioia, amore, paura… fin qui nulla di strano.

saudade

Ci sono poi emozioni più sottili, forse anche più fugaci, che riescono a far breccia nel nostro intimo in maniera talmente veloce che sono difficili da afferrare e ancora meno da definire.
La più classica delle parole intraducibili nell’ambito emozionale arriva dal portoghese ed è saudade, quel senso si nostalgia, di mancanza riferito a qualcosa del passato che non si può più rivivere e manca profondamente, come la nostalgia della spensieratezza dell’infanzia o le emozioni che si provavano con un amore ormai perduto.
Anche i tedeschi sanno essere nostalgici e indicano questa emozione con fernweh che è letteralmente la “nostalgia dell’altrove” ossia quella voglia di essere in un altro luogo che può anche non essere ben definito o mai stato visitato, una sorta di “mal d’Africa” più etereo.
Mono no aware è un termine giapponese che fa riferimento allo stupore davanti alla bellezza della natura e della vita umana ma ha un retrogusto amaro perché indica anche una sorta di nostalgia che si lega alla consapevolezza della transitorietà del tutto; anche wabi-sabi arriva dal Giappone ed esprime un concetto simile ma più leggero, ossia l’accettazione del fatto che tutto è in costante trasformazione, che ogni cosa esistente, fisica o emotiva, è in perenne mutamento e non la si potrà mai vivere due volte nello stesso modo.
I tedeschi usano anche waldeinsamkeit per descrivere quella sensazione un po’ inquietante che si prova quando ci si trova da soli in un bosco. Fascino e paura in un unico termine.
Delicatissima è la parola inuit iktsuarpok che fa riferimento a quello stato d’ansia per il quale una persona continua a guardarsi attorno nell’attesa di qualcuno che ama, ossia quella sensazione che abbraccia la speranza e si concede un momento di apertura verso la sorpresa.
E poi c’è hygge, il termine con il quale i danesi indicano la particolarissima sensazione di sentirsi improvvisamente a casa anche in un luogo che casa non è.
A chi non è mai capitato di sentirsi hygge da qualche parte o tra le braccia di qualcuno?
Avete mai visto una ragazza di spalle che pareva bellissima ma poi di viso non lo era? I giapponesi chiamano questa sensazione bakku-shan e non esiste un corrispettivo al maschile (forse gli uomini sono meno ingannatori).

Le parole intraducibili e le abitudini o le abilità

Purtroppo l’italiano colloquiale si sta impoverendo e sono numerosissimi i termini della nostra ricchissima lingua che vanno perdendosi ogni anno o che finiscono in un limbo di parole desuete. Tra queste vi sono termini estremamente precisi con i quali si indicano azioni o abitudini uniche come bibliosmia (ossia la sensazione che si prova annusando le pagine di un libro) o culaccino (il segno che lascia il fondo di un bicchiere bagnato su una superficie).
Ma è sufficiente fare una piccola incursione nelle altre lingue per rendersi conto che esistono parole ancora in uso capaci di raccontare da sole stati d’animo e azioni allo stesso tempo.

Gigil

Cafuné è la parola portoghese che descrive l’azione di passare le dita tra i capelli della persona amata, mentre in yamana (una lingua indigena della Terra del Fuoco) usa Mamihlapinatapai per un momento davvero preciso, ossia quello nel quale due persone si guardano negli occhi in attesa che uno dei due faccia una cosa che entrambi vogliono senza avere il coraggio di farla… avete mai guardato qualcuno negli occhi in attesa di un bacio che non è arrivato? Ecco, ora potete definire quel momento.
E in tema di amore il farsi ci regala la parola tiam ossia il luccichio negli occhi degli innamorati al loro primo incontro.
Ma non c’è solo l’amore: gli uomini hanno usi e costumi molto vari e nel tempo si sono dati un gran da fare per indicarli con i vocaboli della propria lingua.
Sull’isola di Pasqua esiste il termine tingo che indica l’azione di chiedere in prestito una cosa senza mai restituirla. Hanno mai fatto tingo con uno dei vostri libri?
Lo scozzese ha elaborato una parola molto particolare, tartle, che descrive il momento di imbarazzo nel quale incappa una persona quando deve presentare due estranei ma non si ricorda i loro nomi… una situazione davvero brutta!
Per i norvegesi quando si beve la prima birra della giornata si sta facendo utepils, mentre i giapponesi usano age-otori per indicare una persona che uscita dal parrucchiere sta peggio di quando è entrata!
Avete presente quello scherzo per il quale si bussa alla spalla di qualcuno trovandosi in realtà dall’altra parte? Ecco, esiste un termine anche per questo, mencolek ed è di origine indonesiana.
In filippino esiste un termine che in Italia abbineremmo a “coccoloso”, ossia gigil, quella voglia irrefrenabile di strapazzare di coccole qualcosa o qualcuno di irresistibile come un bambino o un cucciolo.
State per finire la ricarica del cellulare e avete bisogno di parlare con una persona? Probabilmente sceglierete di farle uno squillo e attendere che vi richiami e senza saperlo state facendo quello che i cechi chiamano prozvonit.

Le parole intraducibili e le persone

Ci sono persone che hanno atteggiamenti peculiari e che in tutto il mondo ci è premurati di definire in modo rapido con termini univoci: d’altronde è preferibile dire chiacchierone piuttosto che “persona che non smette mai di parlare”, no?

Gli olandesi hanno un termine quasi impronunciabile, struisvogelpolitiek, che descrive una persona che nasconde la testa sotto la sabbia esattamente come gli struzzi, ossia cerca di evitare i problemi fingendo che non esistano.
In tutto il mondo esistono madri un po’ ossessive con gli impegni dei figli, ma i giapponesi hanno pensato di descriverle con il termine kyōiku mama con il quale rappresentano le madri troppo assillanti nei confronti dei figli affinché prendano buoni voti a scuola.
Avete presente le persone davvero sfortunate? Quelle alle quali non ne va bene una? In yddish sono chiamati shlimazl ossia “sfortunati cronici”, mente nella Repubblica del Congo si usa un termine molto preciso, ilunga, nell’indicare una persona che davanti a un torto è disponibile a perdonare la prima volta volta, far finta di nulla la seconda e vendicarsi senza pietà la terza.
Siete persone mattiniere che amano alzarsi all’alba per ascoltare il canto degli uccelli? Allora gli svedesi vi definirebbero con gökotta.

Anche l’italiano ha i suoi termini intraducibili in altre lingue, uno di questi è gattara che pare non esistere come unica parola negli altri vocabolari.


Scopri di più da La Parola Giusta

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

6 pensieri riguardo “Parole intraducibili: un viaggio tra lingue e significati

  1. Davvero un articolo molto, molto interessante.
    Mi vengono in mente anche serendipity e ikigai.
    Di contro, anche il nostro pantofolaio o abbiocco non credo abbiano un vero e proprio corrispettivo in altre lingue. Ma correggetemi se sbaglio.

    Piace a 2 people

Scrivi una risposta a Lorenzo A. Avanzini Cancella risposta

Scopri di più da La Parola Giusta

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere