Giovanni Pascoli: il poeta della speranza

Il 31 dicembre del 1855 nasceva, a San Mauro, il poeta Giovanni Pascoli che, insieme al contemporaneo Gabriele d’Annunzio, fu il massimo rappresentante italiano del decadentismo.

Professore di latino e greco, politicamente impegnato, arrestato e processato per disordini, la storia di Pascoli è nota ma nonostante questo è portatrice di messaggi profondi che sono poi emersi, a tratti, nelle sue poesie capaci di avvicinarsi al decadentismo ma anche di prenderne le distanze per creare qualcosa di nuovo e unico.

La formazione di Pascoli è stata influenzata dal positivismo, corrente che andò spegnendosi nel corso della seconda metà dell’Ottocento per lasciare spazio al decadentismo caratterizzato da quel senso di perdita di speranza tipico della letteratura dell’epoca: il mondo era un luogo oscuro e indecifrabile nel quale la sopravvivenza morale era una remota possibilità poiché tutto (e tutti) si sarebbero arresi alla spietatezza della vita.

In questa riflessione la grande intuizioni di Pascoli è quella di riconoscere un tempo idilliaco nel quale il male non può accedere e la speranza è la luce che guida le azioni: quel periodo è la fanciullezza.

Giovanni Pascoli

Ne Il fanciullino il poeta ribadirà la sua convinzione che solamente attraverso gli occhi puri dell’infanzia sia possibile spiegare il mondo e la vita.

Questa sua visione farà da contraltare al pessimismo poetico: il rimpianto del poeta è quello di aver perso la fanciullezza e quindi la possibilità di essere felice. Scopo ultimo di ogni individuo dovrebbe quindi essere quello di riconquistare quella visione spensierata della vita ormai perduta.

E cielo e terra si mostrò qual era:

la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:

bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d’un tratto;

Il Lampo

Lavorando su questa idea la poetica di Pascoli si fa sempre più impressionista cercando di “fotografare” la vita, immortalare gli attimi e portando in trionfo la quotidianità e le piccole cose rendendole al tempo stesso universali.

Ma perché Pascoli ambiva così tanto a recuperare la fanciullezza?

Il poeta era il quarto dei dieci figli di Ruggero Pascoli e Caterina Vincenzi Allocatelli, amministratori della tenuta La torre dei principi di Torlonia a San Mauro.

L’infanzia di Pascoli è stata allegra e spensierata fino alla morte per omicidio del padre, avvenuta il 10 agosto del 1867 (Pascoli aveva dodici anni). Quella data fu tremenda per la famiglia del poeta.

Giovanni Pascoli

Nonostante i processi e la certezza del mandante dell’omicidio (e dei suoi esecutori), non si arrivò mai a una condanna e, nel frattempo, il nido famigliare tanto amato dal poeta andò disgregandosi: iniziarono i problemi economici che costrinsero i Pascoli a trasferirsi, poi i lutti che portarono via al poeta la sorella Margherita per colpa del tifo e la madre di “crepacuore” (entrambe nel 1868), fu poi la volta del fratello Luigi per meningite (nel 1871) e del fratello maggiore Giacomo (nel 1876, non fu mai chiarito se per meningite o avvelenamento). Le sorelle minori, Ida e Maria, si separarono dal fratello per dieci anni, costrette dalle condizioni economiche a vivere nel collegio del convento delle monache agostiniane di Sogliano al Rubicone.

Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.

La cavalla storna

Giovanni però non si diede per vinto e fece di tutto per poter continuare gli studi e conseguire la laurea, lasciandosi poi anche affascinare dai moti dell’epoca e finendo con l’essere arrestato e processato: dovette intervenire persino il suo professore universitario, Giosuè Carducci, a prendere le sue difese.

Riconosciuto innocente prese le distanze dalla vita politica rifugiandosi nella letteratura e nella poesia che divenne la sua finestra sul mondo.

Pascoli, più di altri, ha dato un senso morale alla poetica, usandola in tutti i modi possibili come difesa, come promemoria di un tempo passato, come ricordo dell’importanza delle piccole cose, come faro per elevare lo spirito umano, come consolazione dalle pene del mondo.

Giovanni Pascoli - La cavalla storna

Attraverso i suoi scritti Pascoli ha saputo creare in maniera unica un equilibrio tra la poesia elevata e la quotidianità.

La sua raccolta più complessa e nota, Myricea prende il titolo dalla IV Bucolica di Virgilio che si ripromette di elevare la poesia proprio perché “non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici” (non omnes arbusta iuvant humilesque myricae). Pascoli compie un lavoro straordinario cercando, con la sua poetica, di dimostrare il valore di quelle “umili tamerici” e portando prepotentemente la quotidianità nell’eccelso mondo dei grandi poeti.

E come riesce a compiere questo miracolo poetico?

Basta leggere una delle sue poesie per accorgersi che tratta un argomento estremamente umile (prendiamo Lavandare nel quale due terzine e una quartina dipingono l’immagine di un aratro abbandonato in un campo mezzo arato e dei canti delle donne che lavano i panni al fiume).

In queste poche righe (e con un immagine che sicuramente d’Annunzio non si sarebbe mai sognato di usare), troviamo enjambement, iperbati, onomatopee, metafore, sinestesie, chiasmi, antitesi, similitudini e allitterazioni.

Pascoli, dunque, è il poeta che vede il mondo con gli occhi del fanciullo, con la speranza, capace di stupirsi con le piccole cose quotidiane e di elevarle.

Il suo decadentismo è intimo e universale, il suo dolore è il dolore di ogni uomo, la sua capacità di vedere la bellezza nel quotidiano è quella che dovrebbe recuperare ogni individuo per essere felice.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

X agosto

Il poeta di San Mauro va oltre la disgregazione morale ed emotiva dei poeti maledetti francesi (scriveva Baudelaire nel suo Spleen: “vinta, la Speranza piange; e l’Angoscia, dispotica, pianta sul mio cranio il suo vessillo nero”) e nel buio della vita pianta i semi di una rinascita.

La poetica di Pascoli è capace, come nessun’altra, di risvegliare la speranza nell’oscurità del mondo.


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8 pensieri riguardo “Giovanni Pascoli: il poeta della speranza

  1. Nella mia libreria è presente un’edizione piuttosto vecchia (e bella) di Myricea, raccolta che ho molto amato. Ma il mio poeta italiano di riferimento rimane Leopardi 😜.

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  2. Mi avete fatto ricordare quando a scuola dovevo studiare a memoria le poesie e fra queste c’erano anche quelle di Pascoli. Sono passati tanti anni da allora ma devo dire che alcuni versi me li ricordo ancora bene.

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